End of Justice – Nessuno è innocente
Il film sarà proiettato all’interno dell’evento Aspie Saturday Film, che si tiene presso la sede di Roma di CuoreMenteLab. Clicca qui per prenotare gratuitamente.
L’esplorazione della morale e dell’etica, in tutte le loro varie declinazioni, sembra essere una cifra costante del cinema di Dan Gilroy. Se ne Lo sciacallo a essere preso di petto era il giornalismo-spettacolo e il cinismo che fa dei media (spesso) dei veri e propri (ri)produttori di morte, in End of Justice – Nessuno è innocente sono i diritti civili – e la loro complessa applicazione – a finire sotto la lente di ingrandimento del regista americano. Come protagonista del suo secondo film da regista, Gilroy sceglie il personaggio di un avvocato, un penalista tanto geniale quanto abituato a lavorare nell’ombra, che mostra più di un tratto dello spettro autistico. Quando il suo socio d’affari, “volto” dietro il prestigioso studio, ha un malore che lascia l’attività senza guida, Roman J. Israel deve prendere le cose in mano. Ma l’uomo scoprirà che mantenere un’etica rigida e senza compromessi, in un mestiere come il suo, non è sempre facile.
È un film contemporaneo, End of Justice – Nessuno è innocente (in originale un più secco Roman J. Israel, Esq., dal nome per esteso del suo protagonista), eppure nelle sue due ore di durata si respira l’atmosfera e certo mood della blaxploitation americana degli anni ’70. A partire dal commento sonoro, fatto quasi esclusivamente di composizioni del periodo, il regista tende a farci entrare nel mondo del protagonista, che è un mondo – per definizione – fuori dal tempo: un universo fatto di battaglie per le minoranze e di casi attentamente classificati, del progetto di una gigantesca class action legale che – nelle condizioni giuste – dovrebbe riuscire a provocare una vera e propria rivoluzione civile in America. Un mondo, insomma, in cui quotidiano e utopia si fondono: il mondo di Roman, interpretato da un notevole Denzel Washington, volto sui generis e portamento più che mai “autistico”, che fa corrispondere la rigidità di pensiero (in realtà un ferreo idealismo) con una postura fisica che ne è perfetta traduzione.
È una sorta di romanzo di formazione a rovescio, End of Justice – Nessuno è innocente, che vuole mostrare l’impossibilità di mantenere le mani pulite in un universo – e in un contesto sociale – in cui i compromessi, anche quelli più sporchi, sono un pedaggio da pagare se si vuole restare a galla. Il film di Gilroy, col suo passo sornione e il suo look seventies, mostra la fuoriuscita del suo protagonista da una bolla (autistica nei fatti, sicuramente protettiva) che lo proietta direttamente nel presente, togliendogli la protezione del più esperto collega. Roman tenta di mantenersi pulito ma fallisce, più e più volte: la sua schiettezza senza filtri lo isola nel nuovo contesto di lavoro, la sua intransigenza nel non accettare compromessi con le controparti finisce per nuocere ai suoi clienti. Bruce Springsteen (sempre negli anni ’70) cantava che “It’s hard to be a saint in the city”, e il personaggio interpretato da Washington se ne accorge a sue spese: solo che lui, in più, incapace di trovare il giusto compromesso, finisce per diventare un diavolo. Subendone tutte le conseguenze del caso.
Più che un legal thriller, genere di cui comunque il film ha diversi elementi, End of Justice – Nessuno è innocente è un dramma umano su una personalità scissa, su un individuo che, trovatosi a combattere in un’arena di lupi, si scopre privo dei necessari strumenti per non essere divorato. Roman fa una trasformazione graduale, nel vestiario come nel portamento, “mascherandosi” e rimodellando la sua figura, nascondendo quello che era stato ed entrando in quel mondo di “normali” (neurotipici, viene da dire) che finora aveva potuto osservare dai margini. Ma la sua rigidità e la sua ferrea etica gli impediranno di portare questa trasformazione fino in fondo: e il processo, stavolta, sarà rivolto contro se stesso. Il contatto con la più spietata realtà ha provocato guai, ma non solo: l’utopia è stampata nero su bianco, in un faldone di documenti che stanno lì, pronti a essere utilizzati in aula. E quei motivi black da cui l’avvocato non si separa mai (le cuffie sono parte del suo armamentario) potranno forse fare da colonna sonora a un autentico cambiamento.
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