I sogni segreti di Walter Mitty
Il film sarà proiettato all’interno dell’evento Aspie Saturday Film, che si tiene presso la sede di Roma di CuoreMenteLab. Clicca qui per prenotare gratuitamente.
Daydreaming. Ovvero, in psicologia, l’atto di sognare a occhi aperti, costruendo con la mente situazioni, scenari, persino mondi. Un tema che sembra sposarsi perfettamente col cinema e con le sue regole, trovando terreno fertile in un medium che è visivo e cinetico insieme, e che nella sua storia è stato più volte il luogo d’elezione naturale per la visualizzazione della materia onirica. È una realtà, questa, di cui dovevano essere ben consapevoli sia lo storico produttore hollywoodiano Samuel Goldwyn, sia suo figlio Samuel Goldwyn Jr., che in due epoche diverse hanno portato sullo schermo due diversi adattamenti del racconto The Secret Life of Walter Mitty, scritto da James Thurber nel 1939. Nel film del 1947 (intitolato in italiano Sogni proibiti) Walter Mitty era un timido correttore di bozze di una casa editrice, trovatosi all’improvviso a custodire un documento in cui era annotata l’ubicazione di alcune opere preziose sottratte ai nazisti; in questo I sogni segreti di Walter Mitty, il personaggio è invece un impiegato dell’archivio fotografico della rivista Life, sulle tracce di uno scatto perduto, opera del leggendario fotografo naturalista Sean O’Connell. In entrambi i casi, Walter è innanzitutto un daydreamer, appunto: uno con un mondo interiore vivido e sviluppato, capace di compensare con l’immaginazione i deficit di una quotidianità poco soddisfacente.
I sogni segreti di Walter Mitty è tutto informato della personalità del suo protagonista e regista, Ben Stiller: volto e corpo unico all’interno della commedia americana, Stiller qui si sdoppia per tutta la prima parte del film, tra l’impacciato, taciturno e ansioso impiegato incapace di avvicinare la donna dei suoi sogni, e l’immaginario eroe in grado di salvare un cane da un palazzo in fiamme, o di impegnarsi in un roboante e divertentissimo inseguimento tra le strade di Los Angeles, ridicolizzando il suo meschino capo. Due versioni dello stesso individuo che troveranno una sintesi nella seconda parte del film, quando il personaggio si metterà personalmente sulle tracce del suo eroe O’Connell, vivendo una serie di avventure che finiranno per superare persino i suoi sogni più arditi. Tra la Groenlandia, le fredde acque del Mare del Nord, le brulle distese che circondano un vulcano islandese, le campagne afghane e le vette dell’Himalaya, Walter tornerà a contatto con quel bambino sognatore, costretto a crescere troppo in fretta e a relegare i suoi sogni infantili nel profondo: nello spazio riservato a una fantasia che, straripante com’è, comunque non vuole saperne di restare al suo posto. Il contatto con il fotografo col volto di Sean Penn (evidentemente memore della sua esperienza da regista in Into The Wild) darà a Walter la consapevolezza del suo carattere intimamente speciale e irripetibile, anche nelle imprese della vita quotidiana.
È una fiaba contemporanea, I sogni segreti di Walter Mitty, che racconta l’evoluzione di un individuo bloccato, che gradualmente si scopre capace di indirizzare produttivamente le sue inesplorate risorse interiori. L’attore/regista sembra lanciarsi anima e corpo nel progetto, non calcando troppo sul potenziale grottesco del personaggio, tenendo a bada la mimica facciale che lo ha reso famoso e riuscendo a dare al suo Walter Mitty consistenza e spessore. Si sorride dello scarto tra le visualizzazioni di Walter e i loro ben più miseri corrispondenti nella realtà, si sorride della sua più volte richiamata goffaggine; ma parimenti ci si emoziona genuinamente a seguire le sue peripezie, tanto quelle mirabolanti sulle tracce del fotografo interpretato da Penn, quanto quelle più quotidiane, manifestazioni dolcemente stralunate e naif di un individuo inconsapevole del suo reale potenziale. Un individuo capace, anche, di rivoltare a suo favore lo sprezzante atto di derisione del suo superiore, che lo aveva paragonato al protagonista della canzone Space Oddity di David Bowie: proprio il richiamo fantastico di quelle note, in una delle scene più emozionanti del film, segnerà l’inizio della definitiva trasformazione per il personaggio. Il viaggio del maggiore Tom, alla fine, avrà trovato la sua destinazione: e il suo stesso protagonista capirà che sì, in fondo, di fare quel viaggio ne è proprio valsa la pena.
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