In viaggio con Adele

In viaggio con Adele recensione

In viaggio con Adele

Il film sarà proiettato sabato 18 febbraio all’interno dell’evento Aspie Saturday Film, che si tiene presso la sede di Roma di CuoreMenteLab, dalle ore 16.30 alle ore 19.30. Clicca qui per prenotare gratuitamente.

Si può dire qualcosa di interessante, nel 2018, con un road movie sulla neurodiversità, incentrato sulla storia di un padre e di una figlia che imparano a conoscersi? La logica tenderebbe a dire di no, vista l’inflazione di opere simili che si sono viste negli ultimi anni sul grande schermo. Eppure, l’esordiente Alessandro Capitani – già regista di corti e documentarista – si misura senza timore nell’impresa e riesce, complessivamente, bene. In viaggio con Adele è storia di affetti e scoperta reciproca, quella di un personaggio che è felice nel suo mondo (la Adele col volto di Sara Serraiocco) e di un altro a cui, invece, il “suo” mondo va irrimediabilmente stretto (suo padre Aldo, il veterano Alessandro Haber).

Il plot parte da premesse semplici: quando una vecchia fiamma di Aldo muore improvvisamente, lui, al suo funerale, scopre di essere padre di una ragazza particolare, diversa. Adele è priva di freni inibitori, ha come “divisa” il suo pigiama con le orecchie da coniglio, vive con un gatto immaginario e attacca post-it a tutto ciò che le sta intorno, con l’intento di dare un nome e un ordine alla realtà. L’uomo, un attore di teatro, è alla vigilia di quella che è forse la sua ultima grande occasione nel mondo del cinema, e vorrebbe liberarsi della ragazza prima possibile; tuttavia, nel suo viaggio di ritorno dalla Puglia verso Roma, Aldo impara a conoscere la ragazza e stabilisce con lei un rapporto che, dalla compagnia forzata, si sposta sempre più verso l’affetto.

Film piccolo nelle dimensioni produttive e lieve nel tono, capace di trattare temi ampiamente noti (per non dire abusati) senza scadere nella retorica, In viaggio con Adele si regge principalmente sull’ottimo affiatamento tra i suoi due interpreti. Sara Serraiocco l’avevamo vista – tra le altre cose – in Salvo, nel ruolo di un altro personaggio sui generis e in un’altra storia di scoperta reciproca; Alessandro Haber si trova qui al terzo ruolo, in due anni, in un film che tratti di neurodiversità (dopo i precedenti Vengo anch’io e Quanto basta). I due attori raggiungono un affiatamento naturale, indovinando i giusti tempi e dando vita a due personaggi capaci di completarsi a vicenda: lui ipocondriaco e cinico, terrorizzato dalle malattie e dal tempo che passa, lei felice nel suo mondo, ma, nel fondo, consapevole che prima o poi la realtà verrà a chiederle il conto.

Malgrado il tema del viaggio nella dimensione di scoperta personale e reciproca sia tutt’altro che una novità, In viaggio con Adele riesce a pennellare un rapporto padre-figlia con pochi e riusciti tocchi, mantenendosi apprezzabilmente lontano dal buonismo. La Adele di Sara Serraiocco trasmette a tratti l’irruenza di un’anima libera e anarchica, incapace di sottostare a regole sociali che vede come inutili fardelli, a tratti una fragilità che racconta di una vita da outsider; l’Aldo interpretato da Haber è invece un finto cinico, debole e arrendevole nei confronti della sua agente (a cui dà il volto una – volutamente – poco gradevole Isabella Ferrari), restio ad accettare la novità rappresentata dall’ingresso della ragazza nella sua vita, e tuttavia incapace di far finta che quest’ultima non esista. Due personaggi che riescono a superare gli stereotipi – da un lato il “Candido” in versione femminile, dall’altro l’artista cinico e disilluso – restando ancorati a una descrizione realistica e sfaccettata.

Si indovina senza grosse difficoltà, dove andrà a parare la storia di In viaggio con Adele, e il film non fa mai finta di essere ciò che non è; tuttavia, è nella scoperta graduale di un forte legame affettivo, nell’incontro tra le solitudini di due personaggi così apparentemente lontani – eppure in realtà così bisognosi l’uno dell’altra – che sta il principale motivo di interesse del film di Capitani. Il tono è generalmente da commedia, ma gli inserti (melo)drammatici sono lì, a ricordarci che – con tutte le semplificazioni del caso – quella che il film vuole raccontare è una vicenda verosimile. Il racconto fiabesco sfuma così nel ritratto in dolceamaro di due anime bisognose l’una dell’altra; ma il ritmo vivace, e il tono generalmente lieve, evitano che la dimensione patetica della storia sovrasti le sue altre istanze. Non si dubita (quasi) mai dell’approdo finale della vicenda, ma lo scoprire come ci si arriva, in fondo – con tanto di cameo, negli ultimi minuti, del regista francese Patrice Leconte – si rivela “compito” decisamente piacevole.

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