Little Sister

Little Sister recensione

Little Sister

Il film sarà proiettato sabato 12 ottobre all’interno dell’evento Aspie Saturday Film, che si tiene presso la sede di Roma di CuoreMenteLab, dalle ore 16.30 alle ore 19.30. Clicca qui per prenotare gratuitamente.

Tra i registi giapponesi contemporanei, non ce n’è probabilmente nessuno tanto capace di esplorare le dinamiche familiari, di far vivere sullo schermo conflitti, gioie, dolori, asprezze e riconciliazioni che caratterizzano il nucleo primario della società contemporanea (e prima fonte di socializzazione) quanto Hirokazu Kore-eda. Se il suo Father and Son aveva esplorato la dialettica tra i rapporti di sangue e quelli affettivi, mettendo in scena un melodramma complesso e problematico, a tratti emotivamente molto forte, Little Sister è al contrario lieve, quasi pudico, ma altrettanto ricco di sostanza. Ispirandosi a uno josei manga (fumetto rivolto a un pubblico femminile adulto o tardo-adolescente) intitolato Umimachi Diary, scritto da Akimi Yoshida, Kore-eda racconta una storia tutta al femminile, con una sensibilità che è al contempo universale – per i temi che mette in scena – e profondamente calata nella realtà culturale giapponese.

La storia è quella di Sachi, Yoshino e Chika, tre sorelle che vivono da sole nel centro urbano di Kamakura, nella casa della nonna materna. Le tre sono rimaste da sole dopo che i genitori le hanno abbandonate, anni prima, a seguito di una lite dovuta al tradimento del padre; da allora Sachi, la più grande delle tre, si è trovata a dover badare da sola alle sorelle più piccole. Quando le tre vengono a sapere della scomparsa del padre, che non vedevano da 15 anni, decidono senza esitazione di mettersi in viaggio per presenziare ai funerali. Qui incontrano la tredicenne Suzu, ragazzina vivace e intelligente che si presenta come la loro sorellastra; Suzu è infatti la figlia della relazione che provocò la fine del matrimonio dei loro genitori. Quando apprende che la ragazzina non ha un posto dove andare, visto che sua madre anni prima aveva a sua volta lasciato il tetto familiare, Sachi le propone d’istinto di venire a vivere con lei e le sorelle. La nuova presenza di Suzu porterà da un lato una ventata di freschezza nella vita delle tre, ma dall’altro ne modificherà profondamente gli equilibri, riportando anche alla luce vecchie tensioni.

Scegliendo un tono all’insegna della levità, da cui sono quasi bandite le emozioni esplicite, Kore-eda mette in scena una storia che, più che un racconto cinematografico, appare come un racconto di vita, una frazione dell’esistenza di un nucleo familiare sui generis. Non c’è un inizio così come non c’è un vero finale, in Little Sister; c’è invece, semplicemente, la registrazione di una quotidianità colta nel suo farsi, una quotidianità su cui si innesta qui un elemento di (embrionale) trasformazione. La narrazione di Kore-eda vive degli alti e bassi, degli allontanamenti e riavvicinamenti, delle tensioni e dei momenti di empatia tra tre donne la cui esistenza, improvvisamente, viene ridefinita dall’arrivo di una nuova presenza, discreta quanto a suo modo “esigente”. L’arrivo di Suzu costringerà ognuna delle tre sorelle a rivedere criticamente il proprio passato, il proprio approccio agli affetti e le proprie priorità, nonché a fare i conti con un futuro che implicherà, per forza di cose, dei cambiamenti nella vita delle tre.

Little Sister è un melodramma elegante, giocato di sottrazione, che mette in scena temi forti e problematici facendoli passare in modo quasi casuale, sussurrato eppure difficile da ignorare, tra le maglie della sua narrazione. Il regista resta a una certa distanza nell’osservazione delle sue quattro protagoniste, evita di dare giudizi e di declamare, ma mostra comunque calore e partecipazione emotiva: una partecipazione di cui quasi non ci si accorge durante la visione, ma i cui dettagli tornano poi prepotenti alla memoria. Il suo racconto è segnato dalle oscillazioni emotive di una quotidianità restituita nella sua semplicità e complessità insieme, con uno sguardo che mostra il background di ognuna delle protagoniste, restituendone i tratti con grande lucidità: il dolore assimilato, non del tutto elaborato e poi represso di Sachi, le gioie custodite con gelosia di Yoshino e Chika, la sofferenza discreta, mai espressa esplicitamente eppure dolorosamente evidente, sul volto della piccola Suzu. Il quadro complessivo è quello di un pezzo di vita vera, vivificata dal tocco mai invadente, ma ricco di sostanza e lirismo, di un maestro del cinema: l’emozione arriva a dosi piccole, in modo discreto, ma resta presente a lungo dopo la visione.

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