Quartier lontain
Il film sarà proiettato sabato 26 ottobre all’interno dell’evento Aspie Saturday Film, che si tiene presso la sede di Roma di CuoreMenteLab, dalle ore 16.30 alle ore 19.30. Clicca qui per prenotare gratuitamente.
Co-produzione franco-belga risalente al 2010, vincitore del Magritte Award per la miglior scenografia e premiato anche alla Festa del Cinema di Roma, dove ha avuto il massimo riconoscimento nella sezione Alice nella città, Quartier lontain avrebbe sicuramente meritato una diversa considerazione per un’ipotetica – e mai avvenuta – distribuzione nel nostro paese. Quello del belga Sam Gabarski è un piccolo film che, malgrado l’assenza di attori di grido nel cast, per i suoi temi e il modo in cui è raccontato aveva senz’altro del potenziale anche per gli spettatori italiani; lo aveva anche (e forse soprattutto) considerata la sua origine, un manga scritto e disegnato dall’autore Jiro Taniguchi – scomparso nel 2017 – che vediamo anche in un brevissimo cameo nel film. Autore eclettico e dal sentire profondamente calato nel suo panorama culturale, ma contemporaneamente dall’anima europea, con uno stile che rappresenta un trait d’union tra sensibilità orientale e occidentale, Taniguchi vede qui la sua storia trasportata (fedelmente) nella Francia del XXI secolo, che vedremo magicamente fare un balzo indietro trasformandosi in quella – più ingenua come i suoi protagonisti adolescenti – di oltre un quarantennio prima.
Protagonista di Quartier lontain è Thomas, un affermato autore di fumetti che, di ritorno da un viaggio promozionale, sbaglia treno approdando casualmente nella sua città natale. Qui, l’uomo decide di far visita alla tomba di sua madre, scomparsa tanti anni prima: mentre è al cimitero, Thomas ha un mancamento e sviene. Al suo risveglio, l’uomo si ritrova magicamente ringiovanito, tornato all’età di 14 anni ma con la consapevolezza e gli istinti del suo io adulto; anche la città, intorno a lui, è quella del 1967, anno in cui suo padre compirà 40 anni. E mancano proprio pochi giorni, nel momento in cui Thomas si è risvegliato, al compleanno che segnerà la più drammatica delle svolte per la sua famiglia: suo padre, infatti, proprio quel giorno lascerà il tetto coniugale, abbandonando Thomas, sua madre e sua sorella senza dire una parola. Dopo quel giorno, l’attività di sartoria di famiglia verrà chiusa, la donna sarà costretta a trovare un lavoro da dipendente, ma, incapace di reggere a quell’inspiegabile abbandono, finirà per morire pochi anni dopo. Dapprima convinto che si tratti di un sogno, Thomas finisce in seguito per credere che gli sia stata data una seconda opportunità: quella di impedire quella fuga mai compresa, salvando così la sua famiglia e la vita di sua madre.
Impatta direttamente i temi della memoria, ma anche quelli degli affetti familiari e della costruzione dell’identità, Quartier lontain; lo fa mettendo in scena un viaggio fantastico che, per il protagonista, si fa simbolica esplorazione psicanalitica e possibilità di riconciliazione (e accettazione) di un passato mai davvero compreso. Il titolo del film (che in italiano suona più o meno come “Lontano vicinato”) sta a indicare l’ossimoro di una memoria così distante nel tempo eppure così paradossalmente a portata di mano, semplicemente sepolta tra i fantasmi di un lutto non elaborato e di un affetto familiare irrisolto e bruscamente interrotto. Proprio la volontà di capire e riannodare i fili col passato, prima ancora che la disperata esigenza di cambiarlo, muove il viaggio di Thomas e con lui quello dello spettatore, testimone di un’epoca che rivive sullo schermo in una comunità di provincia accogliente ma anche soffocante, luogo dell’educazione culturale e sentimentale di un quattordicenne già quasi pronto a spiccare il volo. Proprio il drammatico sfaldarsi della sua famiglia sarà in qualche modo la spinta che informerà di sé tutta la successiva carriera del protagonista, ma anche il più grande buco nero della sua memoria, quello che esige di essere colmato con parole che rendano conto di ciò che, allora, è apparso come un intollerabile tradimento.
È delicato, equilibrato e niente affatto improntato al giudizio, Quartier lontain; lo sguardo del regista, alter ego tanto dell’autore originale, quanto del protagonista/narratore (la dedica sui titoli di coda è emblematica) è anzi pieno di empatia per tutti i personaggi coinvolti, capace di condurre dai misteri e dalle nevrosi della mezza età a quelle dell’adolescenza, e ritorno; il tutto, all’insegna di un “realismo magico” che al giorno d’oggi è sempre più difficile ritrovare al cinema. Il registro è quello di una lucida nostalgia che, del sentimento nostalgico propriamente detto, non ha la tendenza a smussare gli angoli e ad abbellire le asperità del vissuto; non ce l’ha specie laddove si riferisce a quel momento di passaggio complesso e dolorosissimo che è quello dell’adolescenza. La saldatura tra passato e presente sta tutta sul volto del giovane, ottimo interprete del protagonista ragazzo, sguardo indurito che cela il dolore e la fragilità che vediamo riflessi – come in un gioco di specchi – sul volto dell’interprete di suo padre, in quello che sarà il confronto nodale di tutto il film. Un viaggio magico e doloroso al tempo stesso, in cui è facile perdersi e altrettanto facile ritrovarsi (e, soprattutto, rivedersi). Che la si ambienti in Giappone o nel cuore della provincia francese, questa è una storia dal carattere universale: il suo cuore, in questo intenso, sottovalutato film, è stato reso nel modo più pieno e soddisfacente.
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