Teneramente folle

Teneramente folle recensione

Teneramente folle

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Vive delle oscillazioni umorali del suo protagonista (un bravissimo Mark Ruffalo), Teneramente folle. Quello che Ruffalo mette in atto, nel film d’esordio di Maya Forbes, è in effetti un vero e proprio tour de force attoriale, interpretando un padre di famiglia con un disturbo bipolare che cerca di occuparsi delle sue due bambine. Dopo un periodo trascorso in clinica in seguito a un episodio psicotico, Cam Stuart torna nella sua casa di Boston con sua moglie Maggie e le figlie Amelia e Faith. La famiglia, tuttavia, resterà di nuovo unita per poco: alle prese con varie difficoltà economiche, Amelia decide di trasferirsi a New York per seguire un master che può teoricamente darle accesso a un lavoro più remunerativo. Lo scopo è quello di tornare a casa dopo diciotto mesi per cercare un posto di lavoro a Boston, che dia alla famiglia una più solida base economica. In questo periodo, Cam resterà da solo a occuparsi di Amelia e Faith, dapprima con diverse difficoltà, ma in seguito riuscendo a (ri)stabilire con le due bambine un legame forte e solido.

Siamo alla fine degli anni ‘70, nel plot di Teneramente folle (in originale intitolato, più significativamente, Infinetely Polar Bear), e la peculiarità dell’ambientazione viene ribadita più di una volta dalle composizioni folk-rock del periodo e dalla fotografia sgranata degli homemade movies che periodicamente il film mostra. Ma la scelta dell’ambientazione del film della Forbes era quasi obbligata per il tipo di vicenda che la regista voleva mettere in scena: in un periodo in cui i ruoli familiari sono ancora rigidamente definiti, una donna che voglia lavorare e costruirsi una carriera è guardata con sospetto, in certi casi addirittura con riprovazione. Le lotte del decennio precedente non hanno intaccato che superficialmente le basi di una società fondamentalmente patriarcale; le stesse basi che porteranno i vicini di casa a guardare con un misto di pietà e ammirazione di facciata la figura di Cam, e i suoi sforzi per prendersi cura delle figlie in assenza della moglie. Proprio questa inversione dei ruoli familiari, e le conseguenze (anche grottesche) che questa porta con sé, è invero uno degli aspetti più interessanti del film di Maya Forbes.

Ma Teneramente folle, come si diceva in apertura, è soprattutto un film guidato dal suo interprete principale, che detta i tempi del racconto con un istrionismo che non si trasforma mai in vuota maniera. Ruffalo evita di calcare la mano sulle peculiarità del suo personaggio, anche nei suoi momenti emotivamente più “esplosivi”, riuscendo a restituirne un ritratto credibile e sfaccettato; la sua condizione di disagio, col tempo sempre più mitigata dall’affetto delle due bambine, è significativamente messa a confronto con quella di sua moglie, donna di colore di umili origini che vuole emergere nell’ancora rigidamente maschilista (e classista) società statunitense degli anni ‘70. Il film della Forbes punta a raccontare il disagio (quello psicologico e quello sociale) con toni da commedia, evitando l’enfasi melodrammatica anche in quei momenti – quali il pre-finale – che quasi naturalmente la richiamerebbero. Ed è, in fondo, apprezzabile la messa in scena della condizione di Cam, che non nasconde i suoi tratti più invalidanti ma riesce a renderne con puntualità e umorismo picchi e cadute, stimolando un’empatia che non risulta mai furbescamente evocata, ma piuttosto sapientemente ricercata dalla descrizione del personaggio.

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